“Per i nostri migranti poteva essere utile conoscere il principale monumento modenese, patrimonio Unesco, sempre in vista di migliorare la propria conoscenza della società modenese, italiana, europea. La cultura rende più facile integrarsi in un nuovo contesto sociale”.
Il nostro volontario Ettore Cambi ha condotto i nostri ospiti in una visita guidata, tenuta da lui, al Duomo di Modena.
“Alcuni anni fa avevo frequentato un corso specifico in otto lezioni organizzato dalla Diocesi di Modena sul Duomo e così ho deciso di condividere le conoscenze apprese in questo modo, secondo me molto utile, per favorire una vera integrazione – sorride Ettore che ha 69 anni, vive a Modena ed è in pensione dal 2007 – Nella vita lavorativa svolgevo la professione di contabile e sono stato impiegato presso alcune aziende private. Attualmente svolgo attività di volontariato presso la Casa di Abramo e come volontario AVO presso l’ospedale di Baggiovara.
Ho conosciuto Porta Aperta più di vent’anni fa tramite don Adriano Fornari che allora era direttore della Caritas e parroco della parrocchia che io frequentavo (San Giuliano Martire a Modena). Già allora don Adriano invitò i suoi parrocchiani a divenire volontari per le diverse attività e perciò tutti incontrammo la realtà di Porta Aperta.
Per vari motivi io non aderii alla proposta, ma ora, dopo il pensionamento, i tempi sono maturati – racconta Ettore – Sto svolgendo adesso la mia attività di volontariato nel progetto “Conversiamo” e settimanalmente incontro un giovane migrante proveniente dal Ghana per migliorare la sua conoscenza della lingua italiana avendo scelto come metodo la lettura di un giornale quotidiano locale.
Al di là delle mie capacità o dei miei difetti mi sono ispirato all’insegnamento di don Lorenzo Milani che nelle sue lettere scriveva spesso che ai ragazzi occorre “dare la parola”.
La scarsa conoscenza della lingua italiana rendeva i suoi ragazzi cittadini di serie B. Così è anche per i migranti della Casa di Abramo: la prima forma di integrazione dentro una cultura diversa da quella di origine è la conoscenza della nuova lingua.
Io sono cattolico credente e quindi le motivazioni che mi spingono a fare questo tipo di volontariato e a praticare accoglienza sono il Vangelo e il magistero dei Papi degli ultimi quarant’anni.
Dico dei Papi perché, oltre agli insegnamenti di Papa Francesco, ricordo per la prima volta di aver sentito da Giovanni Paolo II trent’anni fa la frase “occorre costruire ponti, non muri”. Per quanto riguarda Papa Francesco anche le persone più disattente sentono ogni giorno i suoi discorsi sul tema dell’accoglienza.
So anch’io che questi discorsi vengono spesso qualificati come “buonismo” e lasciati cadere, ma per me sono la base fondamentale su cui costruire un mondo più solidale. Capisco i tanti problemi della nostra Italia, ma abbiamo bisogno di “farci prossimo” a tutti.