PER UNA SOLIDARIETÀ FATTA DI MANICHE ARROTOLATE, SPAZI CONDIVISI E INCONTRI CON PERSONE VERE
Irene Recupero, 45 anni, vive in provincia di Bologna ma è molto legata a Modena, dove fa volontariato a Porta Aperta.
di Laura Solieri
“A Porta Aperta svolgo due tipi di servizi, a seconda delle esigenze organizzative del giorno e della mia disponibilità di tempo. A volte servo in mensa, a volte do una mano al servizio di distribuzione alimentare che avviene due volte la settimana – racconta Irene, che nella vita si occupa di organizzazione eventi, in particolare con clienti stranieri che scelgono gli angoli più belli d’Italia per le loro celebrazioni e festeggiamenti – Si tratta di suddividere beni alimentari, sia freschi che conservati, tra i nuclei famigliari che si sono prenotati per quel giorno, facendo le giuste proporzioni e avendo un occhio di riguardo per le famiglie con tanti bambini, fornendo loro alimenti specifici se disponibili.
Come ogni modenese, conosco Porta Aperta da sempre, sia attraverso amici che vi hanno svolto e svolgono attività di volontariato, sia attraverso le tante iniziative che promuove. Porta Aperta è
Irene racconta che della sua attività di volontariato apprezza diversi aspetti, tra tutti la semplicità e la concretezza con cui ci si mette al servizio degli altri, lo spirito di allegra collaborazione che si crea con gli altri volontari e il fare del bene attraverso il cibo, “cosa che, per una cuoca amatoriale come me, è il massimo! – sorride – Consiglio senz’altro di fare quest’esperienza perché si riceve molto più di ciò che si dà; servendo in mensa, ad esempio, mi sono accorta che il semplice gesto di preparare ed offrire un pasto permette di creare un rapporto, di guardare in faccia persone che altrimenti di norma tenderesti istintivamente ad evitare. In questo modo entrerai sicuramente in contatto con situazioni difficili ma scambierai anche sorrisi e battute e metterai alla prova molti preconcetti che manco sapevi di avere.
Nella cultura anglosassone, in particolare quella americana, esiste, forte, il concetto del to give back, letteralmente restituire alla comunità parte dei beni e dei vantaggi di cui si gode. Credo che praticare l’accoglienza oggi sia semplicemente questo, restituire in una minima parte ciò di cui si gode, vivere una solidarietà fatta di principi e convinzioni ma, soprattutto, di maniche arrotolate, spazi condivisi e incontri con facce, sguardi, persone vere, non dati statistici o stereotipi”.